Il Nāda Yoga, in accordo agli insegnamenti del maestro Vemu Mukunda, contempla circa una ventina di scale mutuate dal sistema musicale carnatico del Sud India. Queste scale sono le stesse usate dai musicisti per dare origine ai raga, le composizioni tipiche della musica classica indiana; le modalità di utilizzo di queste sequenze all’interno del Nāda Yoga sono però decisamente più semplici e alla portata di tutti.
Ogni scala è caratterizzata da un particolare sapore emotivo sperimentabile sia attraverso l’ascolto passivo ma soprattutto grazie al canto della sequenza, prima in fase ascendente e poi discendente; l’esecuzione dovrà tenere conto anche di una determinata scansione ritmica e di altre semplici regole.
La pratica vocale (che, di fatto, si può definire come un movimento consapevole del prana) consente in questo modo di raggiungere un obiettivo molto importante: sciogliere le negatività stagnanti dentro le nadi (i canali psico-eterici che costituiscono il corpo sottile) e ripristinare una condizione di equilibrio e armonia. In altre parole, la sequenza vibratoria della scala trasforma l’energia emotiva connessa a quella determinata scala, in energia rinnovata e pienamente disponibile.
La musica indiana si è contraddistinta nel corso dei secoli per il sapiente sviluppo delle infinite possibilità espressive dell’aspetto melodico di una composizione (laddove in occidente abbiamo invece maggiormente esplorato le potenzialità dell’armonia, ossia della combinazione tra melodia e accordi); questo tipo di espressività avviene in un contesto modale, cioè attraverso la relazione costante e univoca tra ogni nota della melodia e una specifica nota fissa, il cosiddetto “bordone”. Il bordone non è altro che una nota reiterata (sempre perfettamente percepibile dall’artista e dal pubblico), che diventa una sorta di tappeto sonoro sul quale il canto va ad appoggiarsi nel suo fluire melodico.
Ciò che rende plausibile l’effetto “terapeutico” e universale della musica indiana (e di conseguenza del Nāda Yoga), sta nell’assunto che il rapporto tra il bordone (normalmente eseguito dalla tanpura) e ogni singola nota cantata o suonata dal solista ha sempre lo stesso significato emotivo.
L’intervallo di quinta, ad esempio, ha un valore molto positivo; è forte, gioioso, solido, mentre quello di seconda minore tende a indurre una esperienza emotiva di disagio, associabile a sensazioni di paura, ansia e tensione.
Pertanto ogni scala può essere letta in modo quasi scientifico; avremo scale che evocano l’energia della terra e del radicamento, altre che muovono le emozioni maggiormente legate a stati di disagio (tristezza, senso di perdita, ecc.), altre ancora tendono a sviluppare le capacità intellettive, ecc. Secondo Mukunda, data una certa sequenza di note, la risposta emotiva del praticante sarà coerente, riproducibile ed universale, non legata cioè ad aspetti soggettivi o culturali.
L’effetto della scale è potenziato dall’uso della fonetica indiana; al posto dei familiari Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, si utilizzeranno i suoni Sa, Ri, Ga, Ma, Pa, Dha, Ni.
Il motivo consiste nel fatto che i suoni delle note indiane possiedono un valore mantrico, indirizzano cioè l’energia in punti ben determinati del corpo grossolano e di quello sottile.
Il canto della scala quindi, per via della sequenza musicale e per il potere dei fonemi, avrà sul praticante un effetto sia a livello emotivo che fisico ed energetico.
Anche in questo caso, come per l’intonazione del mantra OM, cantare le scale nella propria tonica individuale garantisce un effetto terapeutico maggiore e più focalizzato.